Palla bella palla ovale cade bene cade male
Insieme
“Insieme!”, non mi stancherò mai di ripeterlo durante l’allenamento o nei tornei, “Giocate insieme, cercate il compagno!”. I bambini, non lo fanno quasi mai perché sono ancora individualisti. La percezione dello spazio (e dentro lo spazio, gli altri) che sta intorno a loro è ancora tutta da costruire. Non bisogna tuttavia demordere perché, a forza di insistere, prima o poi qualcuno cercherà il compagno per passare il pallone e vi garantisco che l’emozione che si prova nell’osservare quel gesto è pari a quando il proprio figlio muove i primi passi. Il cuore si apre, e verrebbe voglia di entrare in campo ad abbracciarli.
I piccoli atleti vanno dunque stimolati a capire che esistono anche i compagni di squadra, e che da soli non ci si diverte. Accade, non di rado, che partecipando ai tornei si incontrano squadre che perseguono esclusivamente l’obiettivo della vittoria e che si vantano di aver conquistato un numero considerevole di trofei. Bravi! Ci metto anch’io dentro un paio di fuori-taglia, li faccio correre dritti palla in mano a seminare per il campo piccoli birilli. La tentazione è forte, ma è sicuramente meglio cercare di non costruite mai la vittoria sulle spalle di uno o due bambini dal fisico oltre la norma, a cui appunto gli si dà la palla e tutta la responsabilità (e lui va dritto perché è veramente difficile fermarlo). La squadra potrebbe vincere tutte le partite, il coach si vanta delle vittorie, ma i compagni di squadra non si divertono perché non giocano mai. A lungo andare i più si annoiano ed abbandonano lo sport. Sembra strano come invece i piccoli, votati all’inevitabile sconfitta, si divertano come matti a mettere giù il “fuori-taglia”.
In genere negli sport di squadra si è sempre in relazione con gli altri, ma nel rugby questa relazione è profonda, perché il rugby è un gioco in cui si possono creare un numero enorme di situazioni. Ogni volta che un bimbo con o senza palla si muove in campo crea delle situazioni di gioco. Se un bimbo decide di partire come un missile con il pallone sotto braccio, come minimo avrà pensato che vuole andare a segnare la meta. Ma se il suo percorso è costantemente ostacolato da altri bimbi che bloccano la sua corsa, comincerà ad elaborare situazioni di gioco differenti, tra cui la più immediata è quella di cercare zone di campo meno frequentate dagli avversari.
Così facendo crea continuamente situazioni di gioco ed instaura relazioni con tutti i partecipanti al gioco ovvero, i suoi compagni lo seguono freneticamente gridando “passa, passa” ed i suoi avversari cercano di intuire da che parte vuole passare per riuscire a metterlo giù e rubargli la palla e con l’educatore che cerca di capire cosa sta succedendo in campo.
Questi comportamenti sembrano banali, ma per fare tutto ciò il bimbo osserva, valuta e decide. Il problema è che all’inizio la decisione è figlia di un istinto primordiale dettato dall’egoismo di segnare la meta senza l’aiuto di nessuno, e la situazione di gioco creata con la sua decisione spesso si spegne dopo alcuni istanti con la palla che normalmente rotola a terra inseguita da bambini urlanti.
Ogni scelta deve essere rispettata, ma se gioca uno solo, allora tutto diventa noioso. All’ educatore quindi l’arduo compito di eliminare la noia che procura il gioco individuale e di creare progressivamente situazioni di gioco coinvolgendo possibilmente tutti per andare “insieme” verso la meta. Se si stabiliscono poche regole chiare e semplici, i bambini sono tranquillamente in grado di capire l’effetto generato dalle loro scelte (relazione causa-effetto) e quindi riescono a differenziare il proprio comportamento da quello degli altri.
Un altro modo per far capire che esiste una relazione di causa-effetto tra la decisone presa dal singolo giocatore e il comportamento degli altri è farli sentire una squadra. Fare in modo che tutti imparino i nomi dei loro compagni di squadra, è il primo passo per sentire di appartenere ad un gruppo. A stare in gruppo ci si diverte e si impara più velocemente, ci si stimola a vicenda e non serve parlare molto per spiegare gli esercizi, perché i bimbi imparano osservandosi tra loro. Il compito dell’educatore è quello di effettuare piccoli aggiustamenti sia nella tecnica sia nel comportamento.
“Guardatevi negli occhi, siete una squadra, una vera squadra, nessuno di voi è più importante degli altri. Siete tutti bravi ed importanti!! Prima e durante gli allenamenti frasi di questo tipo andrebbero sempre ripetute spesso, e quando le fatiche dell’allenamento sono concluse c’è sempre il saluto finale, fatto in cerchio tutti abbracciati, magari sudati e sporchi di fango. È una goduria gridare insieme ed a pieni polmoni frasi del tipo “ip, ip urrà” o qualche cosa di simile, che aiuta a scaricare la stanchezza e a rafforzare lo spirito di squadra. Anche i soprannomi aiutano a fare squadra. Tutti dovrebbero averne uno, ma questi divertenti nomignoli si guadagnano sul campo e non devono mai essere offensivi o riguardare eventuali difetti del bambino. C’era un bimbo che era riuscito a fermare un suo pari età dal fisico possente, per tutti era diventato Tigre. A casa ed a scuola pretendeva di essere chiamato Tigre. Tutto questo aiuta ad essere consapevoli che si è sempre in relazione con gli altri ed ogni scelta produce un effetto su tutta la squadra. Se il Tigre non fermava il ciccione avremmo preso una meta. Se Giulio passava la palla a Marco, era una meta sicura. Se non aiutavamo Dario attaccandoci a lui e spingendo forte e tutti insieme non avremmo mai fatto la meta. Se Raffaele non avesse detto quella parolaccia, l’arbitro non ci avrebbe punito.
Vuoi leggere il capitolo 5?