Palla bella palla ovale cade bene cade male
Un bel frontale
“Dritto, vai dritto, non aver paura e vai dritto”: questo è l’incitamento con cui spesso molti educatori sollecitano animatamente il bimbo con la palla in mano. Questo incitamento, nel migliore dei casi, produce l’effetto di suonare la carica allo scontro duro e puro, a prescindere della scelta che si potrebbe fare in funzione della situazione di gioco e delle proprie capacità tecniche e fisiche. Così facendo si rischia di trasmettere ai bambini il messaggio che il rugby è principalmente “sfondare le linee nemiche tipo kamikaze” a prescindere da tutto, producendo nella maggior parte dei casi uno scontro frontale con la conseguente formazione di mucchi selvaggi e alcune volte qualche contusione.
Prima di arrivare alla consapevole ricerca del contatto e generare un bel frontale, il bambino deve essere messo in condizioni di capire che lo scontro fisico non è la sola via per andare a segnare la meta, ma che ci possono essere valide alternative. L’importante è che la scelta sia consapevole e che almeno produca un risultato utile alla squadra in termini di avanzamento verso la linea di meta avversaria. Sembra un concetto difficile, ma in realtà è spaventosamente difficile!.
Quindi, quali alternative al frontale? Innanzitutto “l’uscita dal frontale”, che si basa sul concetto di fingere la corsa in una direzione per poi andarsene dall’altra accelerando la corsa. Ecco alcune utili definizioni tratte da manuali tecnici:
1. “Cercare di effettuare un breve cambio di passo verso il lato opposto alla
direzione che verrà presa per uscire dal frontale in modo da eludere la difesa.”
2 .“Movimento specifico di un giocatore che vuole attaccare lo
spazio vicino ad un difensore per provare a superarlo ( guadagnare metri).”
3. “Cambio di angolo e accelerazione.”
I bambini adorano competere in una sorta di sfida in cui chi porta la palla cerca di sfuggire al placcaggio del difensore per cui, come al solito poche parole per la spiegazione e frequenti domande per verificare la comprensione, per poi introdurre la tecnica dell’uscita dal frontale attraverso giochi e gare per rendere più divertente l’allenamento.
Un’altra alternativa al contatto fisico, è il passaggio della palla ad un compagno che in gergo tecnico si chiama “due contro uno” (2 vs 1). In realtà con questa tecnica il portatore di palla convince, anzi sfida il proprio avversario al contatto per poi cambiare idea all’ultimo istante e passare la palla ad un compagno. Pertanto non è detto che lo scontro fisico sarà evitato, perché il passaggio dovrebbe avvenire un attimo prima del contatto, con l’obiettivo di attrarre verso di se il difensore per liberare la strada al compagno vicino, anzi dietro il portatore di palla. Quando questo avviene in velocità, “un attimo prima” significa che l’attimo dopo sarà difficile evitare lo scontro, l’unica consolazione, per così dire, è che almeno si è preparati al contatto.
I francesi insegnano questa tecnica con la progressione, ovvero prima l’esercizio viene svolto camminando, poi attraverso una leggera corsa in cui, un attimo prima del contatto, l’educatore ferma il gioco e chiede l’esecuzione del passaggio ed infine viene eseguito in velocità.
L’educatore dovrebbe concentrarsi su come il bimbo convince il proprio difensore all’ingaggio, alla sfida del contatto, piuttosto che sul passaggio verso il proprio compagno eventualmente non eseguito correttamente.
L’ultima alternativa al contatto fisico è il calcio in avanti, ma nelle categorie del minirugby non è ammesso e quindi questa è un’altra storia.
Riassumendo: se il giocatore che porta la palla pensa di non poter “uscire dal frontale” oppure non ha compagni nelle immediate vicinanze a cui passare la palla, e soprattutto di fronte a se ha una difesa che avanza inesorabilmente, allora l’inevitabile scelta è quella del contatto fisico, con la speranza che arrivi qualche compagno da dietro a recuperare il pallone.
In ogni caso deve essere chiaro a tutti che il contatto fisico è un’azione di gioco prevista dal regolamento di questo sport e come ovvio potrebbe essere pericoloso se il bimbo non è preparato ad affrontarlo sia fisicamente che mentalmente. È una sfida che si ingaggia con l’avversario che ha lo stesso obiettivo: segnare la meta.
I bambini neofiti dopo circa quindici minuti di gioco hanno in genere compreso i pericoli che corrono per la loro sicurezza nel contatto fisico e sono in grado di comportarsi di conseguenza in base alle loro capacità psico-motorie. Così non è per i genitori preoccupati che assistono a bordo campo. Non deve essere quindi trascurato il fatto che anche i genitori siano da subito pienamente consapevoli dei potenziali pericoli di giocare a rugby (che non sono diversi da quelli di altri sport di contatto), magari attraverso un foglio informativo in cui vengono riassunte, oltre ad altre informazioni di varia natura, anche le precauzioni di sicurezza adottate dagli educatori per rendere il gioco il più sicuro possibile.
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