Libro: palla bella palla ovale cade bene cade male – Genitori (Cap. 7)

Palla bella palla ovale

Palla bella palla ovale cade bene cade male

Genitori

Zinzan Brooke, indimenticato giocatore degli All Blacks, raccontava che il dirigente della squadra dove giocava da ragazzino (che poi era sua madre), prima delle partite riuniva i giocatori e diceva semplicemente: “Andate in campo, divertitevi e siate gentili quando perdete.” Imparare a perdere è un grande insegnamento per i bambini che difficilmente accettano un “NO”.

Ci si potrebbe dilungare molto con la retorica ed i luoghi comuni su questo argomento e sull’epoca in cui viviamo, ma basterebbe non dimenticare mai che da bambini è giusto sbagliare e la sconfitta è una scuola di vita. Fate capire ai bambini che la cosa importante è fare le cose con impegno, anche se si tratta di un semplice passaggio di palla o un placcaggio, perché l’impegno è importante quanto la vittoria e insegna a vincere con rispetto e perdere con dignità.

Quando giocavo a rugby i miei genitori raramente assistevano alle partite e mia madre vedendomi ritornare dagli allenamenti sporco dalla testa ai piedi ed alcune volte dolorante, mi diceva: “Ma con tutti gli sport che ci sono, proprio a rugby dovevi giocare”.

Nonostante ciò, non mi sono mai sentito trascurato per il fatto che dietro la rete del campo non ci fosse nessuno della mia famiglia ad osservarmi, ed era veramente raro vedere mamme, papà che accompagnavano i loro figli agli allenamenti.

Adesso è difficile tenere fuori i genitori (ma anche i nonni) dal recinto di gioco, al punto tale che si devono quasi minacciare.

Durante gli allenamenti, in genere quando un bambino è sotto lo sguardo dei genitori è vistosamente più nervoso, sembra sia quasi impacciato ad esprimersi con libertà ed istinto. Alcuni bimbi più di altri percepiscono una sorta di giudizio sulle loro prestazioni sportive con il risultato di assumere atteggiamenti che vanno dalla paura di sbagliare sino all’esasperare gesti tecnici per cercare di sorprendere positivamente i genitori, con il rischio di farsi male. Il gioco appartiene ai bambini.

Genitori, che lo crediate o no, i vostri figli non hanno bisogno né desiderano di essere continuamente osservati e giudicati. Lasciate ai vostri figli lo spazio e la libertà di esprimere se stessi, senza interferenze. Ormai molte società sportive di rugby hanno adottato un codice di comportamento in cui vengono descritte solo regole di buon senso e che tutti dovrebbero fare proprie perché l’obiettivo comune e che i bambini facciano sport per il loro divertimento. Tutto il resto viene da se.

Una cosa però chiedo ai genitori. Di non lasciare mai soli gli educatori e di non scaricare sulle società sportive la responsabilità di insegnare le regole e la disciplina al proprio figlio. Mi rivolgo soprattutto a quei genitori che hanno figli con qualche problema comportamentale e che magari iscrivono il figlio al minirugby sotto consiglio di uno psicologo dell’età infantile (agli psicologi piace molto il rugby). Raddrizzare un bimbetto indisciplinato è innanzitutto compito della famiglia e se l’educatore vi fa notare che ha qualche difficoltà nel tenerlo alla briglia, non vivetela come un affronto personale e soprattutto evitate di esprimere giudizi infamanti sulle capacità dell’educatore.

Gli educatori di minirugby sono per la maggior parte persone che hanno una vita normale e che cercano di trasmettere ai bambini la cultura e la bellezza di questo sport che loro stessi hanno appreso attraverso esperienze di gioco passate e soprattutto dai corsi necessari per diventare allenatori. Sono appassionati di questo sport a tal punto che sacrificano parte del loro tempo, affrontando anche le liti domestiche, per dedicarsi a questa passione.

Gli educatori imparano a fare questa attività in campo insieme ai bambini. Il ruolo dell’educatore è quasi una missione sportivo-educativa ed è importante potersi relazionare anche con i genitori e, se si potesse ma è difficile farlo, anche con la scuola. L’educatore che arriva al campo sportivo prima di tutti, ha il tempo per preparare la seduta di allenamento, ma soprattutto ha anche il tempo per creare occasioni di dialogo con i genitori e capire meglio il contesto familiare del  suo piccolo atleta.

Più passa il tempo e più vi accorgerete che i bambini riconoscono l’educatore come il “capobranco”, a tal punto che i genitori andranno da lui imploranti per convincere il figlio ad ubbidire alle loro richieste, poiché dall’educatore saranno sicuramente ascoltati.

“Diglielo tu che sabato sera deve venire con noi a trovare la zia, ormai ascolta solo te”. Frasi di questo tipo non dovrebbero essere un vanto per l’educatore, ma solo una buona occasione per instaurare un clima positivo con la famiglia e dimostrare al bambino che l’educatore è sempre dalla parte dei genitori, come i genitori sono sempre dalla parte dell’educatore.

Una eventuale punizione dell’educatore, come l’allontanamento temporaneo dal campo di gioco, non dovrebbe essere vissuta dai genitori come un’ingiustizia e viceversa le decisioni della famiglia vanno sempre rispettate da parte dell’educatore. Se emergono dei fraintendimenti è opportuno chiarirli immediatamente. Tutto ciò per il bene del bambino.

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